QUELLO CHE CONTA. Mettere nuvole in sacchi di parole


Dovrei essere molto veloce

nel descrivere le nuvole –

già dopo una frazione di secondo

non sono più quelle, stanno diventando altre. (W.Szimborska)

Il 27.11. 20 ho partecipato all’incontro conclusivo del percorso di formazione LHQ (Learning hight quality) rivolto agli operatori della coop soc. La nuvola nel sacco di Brescia. Questo il testo del mio intervento:

Ciao a tutti/e! grazie ancora di questa bella occasione per incontrarci stasera anche a distanza. Quando l’amico Massimo Serra mi ha coinvolto nel percorso di LHQ mi sono chiesto fin dall’inizio quale contributo avrei potuto dare al vostro lavoro. In questo periodo ho ricevuto il materiale che avete prodotto negli incontri con Max e Alessandra e nelle ‘merende’. Ho visto una comunita’ di persone che si prende cura attraverso la condivisione, la riflessione , l’invenzione di metafore, l’ascolto di storie e di esperienze. Azioni che in questo periodo, sono cosi importanti e di aiuto per quanti come noi svolgono un lavoro di cura. Mi sono arrivate soprattutto le vostre parole, tantissime, Mi son detto: che ci posso fare con tutto questo bendiddio? Cosi per l’incontro di stasera ho pensato di metterle tutte in un sacco e di farne una bella nuvola che mi è sembrata una immagine da don Chisciotte, da visionari di mulini a vento, un po’ romantica anche, ed e’ venuta fuori questa meraviglia che volevo mostrarvi! Le parole piu grandi sono quelle che ricorrono di piu. Belle eh?

Io lavoro con le parole, con le parole si possono creare mondi, si possono fare cose; le parole possono far bene come una carezza o male come un pugno; ne sono affascinato, a volte nelle parole ci sono altre parole, come per es. nella parola ‘diagnosi’ che contiene il congiuntivo presente di osare: osi, vuoi osare un’altra storia? E poi le parole sono come le persone, sono organismi vivi, incontrano altre parole e ne nascono altre ancora, fanno famiglia!. Uno molto bravo anzi un genio nel far incontrare le parole per fare nascere altre storie era il maestro Gianni Rodari , lo chiamava il binomio fantastico: chiedeva ai bambini di cercare due parole anche diversissime e poi con quelle due proponeva di inventare storie. Ne venivano fuori di meravigliose. Poi si è capito che anche ai grandi piace far incontrare le parole, anzi soprattutto ai grandi!. Le parole hanno un suono, un profumo, un odore, si possono toccare e se le ascolti schioccano!, alcune ci fanno palpitare, nel senso che parlano al ns  sistema cardiospirituale, non è una metafora: entrano nel ns organismo attraverso le orecchie e grazie a complessi meccanismi fisiologici modificano il battito del  cuore, lo fanno agitare, preoccupare, rilassare, divertire, perfino giocare. In un cardiogramma si vede la scrittura del cuore; se ci pensiamo anche quando scriviamo con la penna il nostro scritto somiglia ad un cardiogramma, i segni vanno su e giù, soprattutto se scriviamo cose che ci emozionano. Come per esempio un testamento o una lettera d’amore: amore e morte sono spesso confinanti. Un poeta che amo molto, Franco Arminio, sentite cosa dice:

‘quando ti avvicini al piacere io mi avvicino alla morte, l’amore e la morte sono luoghi di raduno, accampamenti di emergenza per gli sfollati della vita ordinaria’.  (F.Arminio , L’infinito senza farci caso)

Sembra una roba triste e invece è vitale! I poeti hanno questo compito credo: rendere vitale la fine dell’esistenza. Non è facile, comporta impegno, dedizione, coraggio. Alda Merini diceva che la poesia è una pistola alla tempia… sto divagando, succede quando ci si appassiona alle parole. A proposito anche divagare è bellissima, è una parola rom, zingara. Una volta una studente mi ha detto: le parole danno riparo alle storie migranti! E allora ho immaginato di sdraiarmi sotto la nuvola delle vostre parole belle e di sceglierne alcune da contemplare e raccontarvi il mio incontro con loro e provare a chiedermi quello che conta. Ne ho scelte quattro.

ABBRACCIARE

mi manca da morire, durante il lockdown mi svegliavo presto e dal balcone abbracciavo simbolicamente l’albero davanti a casa. Era una specie di preghiera e già il gesto mi faceva bene. Quando venivano a trovarmi i miei figli li abbracciavo con gli occhi. Mi sa che loro se ne accorgevano e ricambiavano con lo sguardo. In questo periodo Abbiamo imparato ad abbracciarci con lo sguardo sopra le mascherine come se i nostri occhi si allargassero e avvolgessero chi abbiamo di fronte. Uno scrittore, Edoardo Galeano, ha scritto un libro intitolato il Libro degli abbracci. Che bellissimo esercizio, scrivere come abbracciare! Si potrebbe scrivere una intera biografia raccontando gli abbracci della nostra vita. Uno che mi ricordo sempre è quello che diedi a mio padre. Eravamo davanti alla chiesa, era appena morto mio fratello in un incidente stradale. Ci abbracciammo intensamente, non l‘avevo mai fatto così. Il mio papà era un uomo burbero, era orfano di padre, lo aveva perduto in guerra, così non era molto abituato ad esprimere il suo affetto in modo troppo esplicito, aveva tenuto dentro tanti abbracci. E in quell’abbraccio che ci scambiammo in quel momento così doloroso sentii che abbracciavo anche il nonno, suo padre. Quello che conta in un abbraccio  sta nelle due c che si schiacciano contro la i e il palato in un incontro morbido; dice la poetessa  Livia Candiani:

Ci si avvicina lentamente anche senza motivo, poi allargando le braccia, si mostra il disarmo delle ali. (L.Candiani, La bambina pugile)

PIEDI.

amo camminare. I piedi hanno una sapienza che la mente non ha. Quando sono a corto di idee mi metto a camminare e succede una cosa strana e meravigliosa. Anche le idee si mettono in cammino!. All’inizio soprattutto se è un sentiero ripido, c’è un po’ di affanno, il respiro si accorcia, il cuore batte forte. Poi succede una cosa bellissima: che tutto cammina insieme: cuore, mente, gambe, passo, vista, sguardo. Se hai un compagno poi è ancora meglio. Camminare insieme è una esperienza che affratella, se sei una femmina assorella, e lì nascono storie bellissime, ricordi, idee, riflessioni. Camminare è una rivoluzione. A me vengono delle intuizioni bellissime. Ho preso l’abitudine di portare con me un taccuino  e di prendere nota, poi torno a casa e mi dico che cazzate ho scritto e butto via tutto. E’ come quando trovi una pietra bella sulla spiaggia, magari resa lucida dall’acqua o dalla salsedine,  la porti a casa  poi si secca e diventa un sasso qualunque. Le cose hanno senso in un contesto, fuori di li ne hanno un altro. Erri de Luca un altro scrittore che amo molto ha dedicato un elogio ai piedi, inizia così:

Perché reggono l’intero peso. Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi. Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare. Perché portano via. (Erri de Luca, Elogio ai piedi)

Ho un progetto in mente da quando ho iniziato a lavorare in carcere, con i padri detenuti e i loro figli . Un cammino di qualche centinaia di km, per l’appennino fino al mare. Vorrei intitolarlo come la canzone di Paolo Conte, ‘Vieni via con me’. Si cammina, ci si ferma, si parla; magari con un asino che porta la roba e che insegni la mansuetudine. Si chiamano cammini riparativi, servono a riparare ciò che la vita ha separato. Non so se ci riuscirò, mi piacerebbe, vediamo se riesco. Quello che conta è che serviranno buone scarpe.

SIAMO

Se ci fosse un po’ di spazio sarebbe un’affermazione, un’ammissione di fragilità e di bisogno estremo : si, amo. cosa siamo, cosa possiamo essere, cosa vogliamo essere? Ho fatto un po’ di calcoli. Io sono nato nel 1962, mia figlia nel 2004. Mio nonno nacque nel 1910 e visse fino a novant’anni. Se mia figlia vivesse fino a novant’anni, vivrebbe fino aL 2094 e se sua nipote a sua volta vivesse per novant’anni potrebbe vivere fino al 2180. Ho conosciuto dunque persone che sono nate nel 1910 e conosco persone che conosceranno persone che vivranno fino al 2180. In tutto e’ un arco di tempo di 270 anni che si collega attraverso di me! Un arco di tempo sul quale posso avere un impatto diretto . Il nostro arco di tempo e’ il tempo di qualcuno che conosciamo e a cui abbiamo voluto bene e che ci lascia un segno. E il tempo di qualcuno che conosceremo e a cui vorremo bene, il tempo su cui lasceremo un segno. Qualsiasi cosa facciamo ha la sua importanza. Ecco un’idea che conta: siamo noi che creiamo il futuro ogni giorno che passa.

RESPIRO

Quando vedo delle persone ricoverate in ospedale a causa del covid il mio respiro si fa affannoso. Ho fatto caso che spesso in tivu’ inquadrano il ventre dei pazienti. i respiratori, le cannule, i macchinari per la ventilazione. macchine e uomini sembrano respirare con lo stesso ritmo. Improvvisamente un gesto così spontaneo e ovvio non lo è più. Mio figlio Pietro venne al mondo con un colpo di tosse, lo ricordo avvolto nel buio della notte, il muco che gli ostruiva i polmoni, il suo respiro che si faceva finalmente pianto, il suo ventre in un fremito. C’è un fuori che entra, c’è un dentro che esce, e un intervallo. Allora chiudo gli occhi, respiro a fondo, sotto di me la terra respira con il suo respiro quieto, respiro il mondo. E’ questo quello che conta.

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