
Dopo l’ultimo testimone
I testimoni diretti degli eccidi nazisti stanno naturalmente estinguendosi. La loro scomparsa lascia una eredità importante e molti interrogativi: cosa significa tramandare la memoria di quegli eventi che hanno attraversato l’Europa tra il 1939 e il 1945 dopo che coloro che ne sono stati i diretti protagonisti, non ci saranno più? Finora l’ascolto delle voci dei testimoni diretti ci ha risparmiato almeno in parte, dal rischio di epurare dalla guerra e dagli olocausti, le rughe, gli occhi, le mani, i capelli, le amnesie, facendoci toccare da vicino la loro umanissima unicità. Le vittime della guerra, di ogni guerra, hanno una storia e un corpo. Senza di loro come faremo per incarnare quella memoria? Ogni anno centinaia, migliaia, di studenti attraversano il cancello in visita ad Auschwitz e guardano. Forse sta in questo gesto così ovvio e naturale il senso di una testimonianza. Lo stesso gesto con il quale pure i sopravvissuti si sono confrontati quando hanno deciso di raccontare, chiedendosi: cosa ho visto? Si diventa testimoni raccontando ciò che si è vissuto. Anche per quegli uomini e per quelle donne, trovare le parole per dire e per testimoniare, avrà salvato dall’oblio e dal timore che chi non c’era non avrebbe potuto comprendere? Cosa succede quando de-portiamo le parole da una esperienza che abbiamo vissuto per comunicarla? Troveremo le parole? Cosa si guadagna, cosa si perde in questo “trasporto”? Quali parole non arriveranno vive? Quali si perderanno lungo il viaggio?
Questa mostra
Dopo la liberazione del campo di Auschwitz, una giovane ebrea ungherese sopravvissuta, Lili Jacob, ritrovò fortunosamente un album di immagini che i nazisti avevano scattato per documentare l’arrivo di un convoglio di 3500 ebrei ungheresi che viaggiavano stipati nei carri bestiame. Grazie a questa eccezionale documentazione ora raccolta nel volume “Album Auschwitz” ed. Einaudi, 2008 a cura di I.Gutman e B.Gutterman e in seguito all’opera di riconoscimento dei sopravvissuti, fu possibile individuare molte delle persone fotografate, la cui gran parte fu trucidata nelle camere a gas poco dopo il loro arrivo. Questa straordinaria testimonianza ridiede a donne, uomini, bambini, spogliati della loro umanità e ridotti all’anonimato, una identità e un nome.
Dieci di quelle immagini, simbolici profili del corpo di ogni deportato, offrono dimora a frammenti di scritture prese dai testi di alcuni studenti dell’ “Istituto G.Calini” di Brescia che hanno visitato il lager di Auschwitz Birkenau e partecipato ad un percorso di pedagogia testimoniale per narrare in prima persona di quell’esperienza.
Attraverso le loro parole, quei volti, gesti, pensieri, sguardi, occhi, mani, riprendono voce e parlano attraverso il tempo ad ognuno di noi.
Curatori del progetto:
Beppe Pasini – Università Statale di Brescia, Luciano Paradisi – Istituto “G.Calini” (Bs)
Testi e voci di:
Arianna Bozzoni, Lucia Durjava, Angela Facchini, Giulia Frascarolo, Nadia Younis, Andrea Guidetti, Federica Marangi, Martina Melgazzi, Ruggero Pedrollo, Andrea Strada.
La mostra: