Incontrai David Bowie in una delle estati piu felici della mia vita. Lo scoprii dopo che era lui. Avro’ avuto dodici o tredici anni. Zia Lucia la sorella di mio padre, viveva a Losanna, sul lago Lemano. Emigro’ a meta’ degli anni ’50 per fuggire ad un marito violento quando era ormai sugli scalini che l’avrebbero portata all’altare. In quegli anni le donne che osavano ribellarsi al destino di una unione facoltosa, subivano l’ostracismo del paese. Faceva la sartina, in Svizzera conobbe Franco, apprendista macellaio della bassa. Lo sposo’ per procura. Andarono a vivere prima a rue Marterey, in centro, tra sfarzosi palazzi, parchi pettinati e vetrine con su scritto vietato l’ingresso agli italiani. Molti immigrati subivano pesanti discriminazioni, addirittura tenevano i figli nascosti in cantina per non perdere il posto. C’è una triste letteratura che racconta le storie di quelle infanzie negate. Ci andai in vacanza quando gli zii traslocarono a nord, in via alois fauquez, sotto il parc du Signal verso Sauvabelin. Stavano in uno chalet su tre piani, che confinava col bosco , circondato da una siepe di ribes succulenti. Anche il padrone di casa, monsieurs Canova, era di origini italiane. Era il titolare della ditta dello zio. Portava il monocolo per darsi un vezzo, occupava il grande attico. Sugli altri piani vivevano tutte famiglie immigrate in un crogiolo multiculturale e folclorico. Ricordo gli anziani coniugi Pasqua, di Bisceglie in Puglia. Quando incrociavamo il passo ansimante e corpulento di madame per le scale, facevamo a gara a turarci il naso e non sentire la puzza che emanava finche’ non scoppiavamo dalle risa. E poi la famiglia Miro’, catalani di Barcellona, gioviali come una paella fragrante. Di quella casa oltre la frontiera amavo tutto. La ragione ufficiale delle mie vacanze era che avrei dovuto imparare il francese per la scuola. Il mio mentore sarebbe stato Mauro, mio cugino. La nostra prima e ultima lezione si consumò prima di terminare una riga di quaderno. Capitombolammo in strada, a strafogarci di ribes, giocare a nascondino nella foresta, inventarci pozioni col piccolo chimico. Il francese ha sempre avuto per me odor di zolfo e acido citrico. La zia faceva la governante in una elegante villa in mezzo ai larici. Ogni mattina andava da monsieur Boui’ per rassettare e stirargli le camice. Una volta mi portò con se’. Ricordo il grande cancello e il cane pastore che lo sorvegliava. mi presentò a un giovane uomo smilzo che annaffiava i fiori in giardino, in tshirt e jeans e che mi regalò un sorriso. L’uomo che cadde sulla terra era lì davanti a me ma, come scoprii in seguito, aveva un altro accento, David Bowie. Credo che per lui non fu proprio un incontro memorabile ma ognuno può essere un eroe, anche solo per un giorno.
CON UN OCCHIO NERO E UNO BLU.
Pubblicato da Beppe Pasini
Beppe Pasini (Brescia 1962) Sono psicologo, psicoterapeuta della famiglia e formatore. Docente di Pedagogia Sperimentale all’Università Statale di Brescia Collaboro con la cattedra di Pedagogia della Famiglia all’Università di Milano Bicocca dove svolgo attività di ricerca e didattica. Mi dedico in particolare ai temi della cura educativa in contesti della marginalità e del lavoro sociale; della salute mentale, dell’apprendimento esperienziale. Faccio parte di G.R.A.S.S. un laboratorio “in erba” di pratiche e sguardi sistemici in contesti educativi annesso a Philo, scuola superiore di pratiche filosofiche di Milano. Socio della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (Ar). Amo le cime innevate, il suono e il colore delle parole, le storie da allevare e mettere al mondo Mostra tutti gli articoli di Beppe Pasini