SCRITTURE IN CATTIVITA’. Animare gruppi narrativi sul web durante la quarantena.


I.Blank (Blanklandscape)

Da alcuni anni animo atelier e gruppi di scrittura autobiografica e di narrazione di sé. Vi prendono parte persone con differenti motivazioni, provenienza, opportunità che trovano nella scrittura una occasione di conforto nell’attraversare  un momento di fragilità esistenziale come un lutto, una malattia, un sentimento di scoramento, oppure semplicemente interessate a sperimentare il piacere di raccontarsi. Oppure ancora professionisti della relazione d’aiuto curiosi, interessati ad apprendere metodologie narrative da proporre  nel proprio ambito di lavoro ai propri clienti/pazienti/utenti. L’emergenza dell’epidemia è stata l’occasione per sperimentare la formula via web.

Avevo non pochi pregiudizi sulla esperienza via web. Il primo era che a distanza, con uno schermo a far da mediatore, anziché il contatto dei corpi in presenza, sarebbe stato tutto troppo rarefatto e asettico. Difficilmente, pensavo,  si sarebbe creato un clima di intensa  partecipazione come  avviene dal vivo, intriso di momenti emozionanti e  ascolto intenso.  Per non parlare delle connessioni traballanti che avrebbero sincopato i collegamenti rendendo precaria la continuità narrativa.

La struttura del laboratorio prevede diversi passaggi che nel tempo si ripropongono  e che conferiscono all’esperienza le caratteristiche di un dispositivo rituale: un momento di scrittura di sé;  l’invito, se lo si desidera, a condividere il proprio scritto; il momento di riflessione orale sull’esperienza della scrittura di sé o sui temi che emergono dalle scritture stesse; un congedo poetante. Un altro elemento che mi creava non poche perplessità per una esperienza on line, è che negli atelier dal vivo, la proposta di impiegare  linguaggi estetici o simbolici si intreccia costantemente con la scrittura.

I.Blank (Globalwriting)

Fare memoria senza corpo?

Negli atelier in presenza invito spesso le persone a impiegare oltre la scrittura,  i colori, l’espressione consapevole della voce, perfino la danza per dare movimento ai movimenti interiori vissuti durante la rievocazione di un ricordo ri-dando in questo modo, movimento a storie non più generative. Il nostro linguaggio infatti, segue movimenti perlopiù lineari, spesso intriso di un abuso del verbo essere.  L’esplorazione di una dimensione corporea e sensoriale è una variabile essenziale della buona riuscita di un gruppo narrativo che favorisca processi trasformativi.  Scrivere è (anche) un’esperienza fisica.  Che movimento compie la nostra mano mentre scriviamo? Che sentieri segue la nostra mente? Possiamo ricostruirne e concettualizzarne i passaggi? Possiamo danzarli? I linguaggi estetici ed artistici, stimolano interazioni corpomentali e rappresentano una formidabile possibilità. Un  ricordo si può colorare, cantare, mettere in scena, ricombinare poeticamente, perfino modellare con la creta. Come sarebbe stato possibile senza un contatto fisico?

La eccezionale situazione di limitazione delle libertà personale che stiamo vivendo a causa della pandemia, per molti drammatica e sconfortante, avrebbe poi conferito alla proposta un ulteriore dimensione curativa, di supporto esistenziale ed emotivo.  E questo mi motivava ulteriormente.

I.Blank (Global-Writings-Verfgung)

Quando le narrazioni trasformano: dal racconto di se’ al pensare insieme

L’esperienza della scrittura di sè in un gruppo autobiografico a scrittura non è  automaticamente curativa o trasformativa, dipende da molte variabili aleatorie, solo in minima parte governabili, tra cui: la qualità degli scritti, l’affettività delle relazioni tra le persone, il sentimento di ascolto reciproco, le conquiste consapevoli e le intuizioni pensose, la piacevolezza complessiva dell’esperienza. L’atelier di autobiografia non è una palestra per scrittori in erba. Ci tengo a dichiararlo fin dall’inizio, piuttosto un’avventura narrativa, estetica, di educazione all’interiorità e alla relazione interpersonale. Le regole che propongo per prendervi parte sono semplici ma essenziali:

  • un atteggiamento di non valutazione sulla veridicità o meno degli eventi narrati;
  • la libertà narrativa,:ognuno può scrivere quel che crede e come vuole;
  • la priorità ermeneutica dell’autore/trice: è lui/lei l’esperto di ciò che narra!

La dimensione che a mio parere rende trasformativo un gruppo di scrittura autonarrativo  è la qualità della conversazione riflessiva sulle storie condivise.  Si assiste in quei frangenti ad un movimento di espansione nel quale dal racconto  dei ricordi autobiografici si passa ad una teoria co-costruita sulla conoscenza in seguito alla proposta di un dilemma spaesante e la revisione critica dei presupposti (J.Mezirow) . Come un sasso nello stagno i cui riverberi si frangono su un’onda che prosegue oltre la riva, questo passaggio viene sollecitato da domande che invitano ad una postura di ricerca sulla esplorazione del funzionamento della mente narrativa. Nell’economia dell’atelier, la pratica filosofica, ossia il momento in cui si conversa riflessivamente in gruppo, occupa la seconda parte dell’incontro e tende a stimolare intuizioni, nuove consapevolezze, inedite metafore, tramite una polifonia di interventi e voci. E’ quella che il neuropsicologo Daniel Siegel chiama ‘mente relazionale’.  Si tratta di un momento di una giocosità pensosa in cui partecipare attivamente ad un processo scientifico e generativo biograficamente fondato e impastato, denso di scoperte e apprendimenti. La rievocazione biografica è dunque un punto di partenza, un pretesto incarnato nell’esperienza , non astratto e vago, per pensare e teorizzare insieme.  Prendere parte a questa avventura epistemica finalizzata a esplorare il funzionamento della mente narrativa tramite il quale diamo senso al mondo, attiva in ognuno una sorta di euforia cardiospirituale che fa palpitare e vivificare i neuroni.  L’effetto che rilevo è un diffuso senso di stupore e gratitudine per aver contribuito ognuno costruttivamente e creativamente ad una comprensione più profonda, pioliedrica, eterogenea dell’esperienza vissuta. A dare senso, con tutti i sensi.  Affinchè si faccia una esperienza di congruenza è cruciale che questo passaggio tra momento narrativo e ermeneutico,  connetta il tema biografico con l’esperienza riflessiva. Nei due esempi in cui riassumo sinteticamente due proposte di laboratorio narrativo che ho recentemente animato su web durante l’emergenza covid 19, cerco di spiegare meglio cosa intendo e in cosa consiste questo passaggio.

C.Welzstein

La memoria libera. Scrivere per avvicinare le distanze.

Il tema di questo webatelier  era ispirato al tema della libertà minacciata e limitata dalla clausura forzata e della conseguente rarefazione delle relazioni sociali dal vivo a causa della quarantena. Le proposte di scrittura che ho rivolto ai partecipanti sono state:

  •   ‘Il primo incontro con il sentimento della liberta’
  •   ‘Un maestro/a di liberta’;  
  •  ‘Fotogrammi e dissolvenze: scatti liberi;
  •  Frammenti di quotidiana  liberta’ al tempo del virus.

Si è trattato dunque di scritture orientate e accomunate da un comune tema narrativo. Ecco un esempio di narrazione autobiografica dedicata al primo incontro col sentimento della libertà:

Sono stata educata all’umiltà, al rispetto delle necessità degli altri, ad aspettare il mio turno, ad accettare le difficoltà, a non pretendere.Sono sempre stata desiderosa di affetto e di approvazione soprattutto in famiglia e per avere questo rispettavo gli insegnamenti così a scuola svolgevo i compiti, a casa ero ubbidiente. Ad ogni trasgressione la sensazione era di pagare un prezzo troppo caro, promettevo di non farlo più.Una domenica, come Pinocchio sono stata incantata dal paese dei balocchi e invece del catechismo ho vagato con le mie amiche in paese. I portici e la piazza avevano un colore diverso ed anche le chiacchiere. Ho pagato con severi rimproveri, con giorni di musi lunghi, un atteggiamento per me fastidiosissimo. Ero una bambina, ho provato il senso di colpa e l’inadeguatezza.  Per molto tempo non ho più frequentato posti diversi da quanto stabilito, poi piano piano ho trovato nuovi Lucignoli, ma non ho mai imparato a trasgredire con fierezza. Ricordo con precisione un incontro con la non libertà che ho pagato a caro prezzo, quel giorno in cui non ho chiamato R: è stato un incontro mancato, poteva essere una nascita che è stata rimandata. Forse essere liberi è anche essere contenti di svolgere ogni giorno semplici gesti, che ci appartengono e non chiedere troppo a noi stessi e agli altri. Forse incontro la libertà ogni giorno un cui vado a scuola con piacere, saluto la gente per strada, guardo la televisione o cucino un dolce. (CM)

Gli stimoli per sollecitare una conversazione riflessiva sono stati:  quali libertà proviamo nello scrivere di noi ,quali prigioni? Cosa insegna l’esperienza della scrittura? Cosa si impara scrivendo di sé? Se la scrittura autobiografica fosse  un’immagine metaforica, quale potrebbe essere? E cosi via.  Qui di seguito riporto  una panoramica di intuizioni e frammenti di teoria generati:

  • La scrittura come catarsi, come esperienza trasformativa che ‘mette le cose su carta’, letteralmente le depone;
  •  Favorisce consapevolezze formulando domande e provando a esplicitare risposte esistenziali e di esperienza;
  • Libera dai pesi emotivi (funzione di alleggerimento)
  • Esperienza di esorcizzazione, in cui l’azione predominante e’ il buttare fuori o addirittura ‘vomitare fuori’
  • La scrittura come esperienza fisica: tutto il corpo viene coinvolto, soprattutto nella scrittura a mano . Lo scrivere a mano traduce le vibrazioni emozionali del ricordo in tratto grafico. Le emozioni si mostrano fisicamente sul foglio attraverso la pressione della mano. Possiamo parlare della scrittura di se’ come ‘cardioscrittura’;
  •  Si rende visibile il mondo interiore attraverso un trasloco. Quando ci si rilegge spesso prevale lo stupore per cio’ che si e’ scritto;
  • Scrivere di se’ e’ sempre un ri-pensarsi, ri-vedersi, ri-guardarsi
  • Scrivere come antidoto e testimonianza
  • Da dove nasce l’esigenza della scrittura?  Dalla gioia, dal dolore, dalla sofferenza, dalla necessita di comunicare, o…?  E’ comunque sempre embricata,  connessa con l’esperienza viva e concreta ma anche con l’immaginario, con la necessita di liberare il pensiero
  • La scrittura diventa terapeutica  e curativa quando scrivendo ci dimentichiamo di noi …in quegli istanti dove andiamo? In questo senso è una esperienza  catartica?
  • Nello scrivere ci si legittima, si afferma l’esistenza e di essere esistiti (come nel caso per esempio di persone detenute).
K.Puente (Despina)

Sguardi sopra le mura. Lettere d’amore da una città sotto assedio

In un secondo caso si è trattato di un weblaboratorio in forma epistolare, nel quale i partecipanti sono stati invitati a comporre lettere dalle proprie vite sotto l’assedio del virus. Per guardare sopra le mura della costrizione, riconoscere i volti amici nonostante le distanze, reincontrare gli affetti lontani, rievocare i luoghi amati, scrutare l’orizzonte futuro e prendere il largo.

A chi abbiamo scritto?  Ai nostri padri, agli amici, ai libri che amiamo, ai nostri ricordi d’infanzia, al lavoro, ai mariti, ai cinque sensi, alle case in cui siamo nati e cresciuti , alle cose così così, a noi stessi bambini, ai gruppi che frequentiamo, alla primavera.  Nei due estratti di scritture epistolari che seguono A.P. scrive al proprio padre defunto, mentre RT alla casa natale:

Ricordi d’estate 

Caro papà, a Natale sono stata in Sicilia. Erano anni che non ci ritornavo e dato che nessuno voleva venire con me ho preso l’aereo e son partita, sola, direzione Palermo,e per l’ennesima volta ho pensato a quanto è bella la tua città, coi suoi colori, odori, musiche e sapori. Ogni volta che ci torno capisco quanto deve esserti mancata, questa terra del sole, dal profumo di zagara, questa terra tanto cara.

Tu e mamma eravate dipendenti statali e d’Agosto caricavamo la nostra Fiat 131 blu scuro e si attraversavamo l’Italia, stretti e sudati, come si poteva esserlo su una macchina senza l’aria condizionata, ma con una voglia di andare come solo allora si poteva sentire, da non stare più nella pelle!…(AP)

La casa Natale

E mi ritrovo qui, fra queste mura di un classico appartamento stile anni ’60. Terzo piano, entrata alla sinistra del pianerottolo, la mia casa natale. Il corridoio che fa da spartiacque tra la cucina, il bagno e la cameretta sulla sinistra, la sala e la camera matrimoniale sulla destra. In fondo il ripostiglio. Le pareti ricoperte da tappezzeria, come richiedeva lo stile di allora e i tendaggi… I momenti trascorsi da bambina sul balcone della cucina al mattino, e quello della sala nel pomeriggio, a seconda di come gira il sole. La classica tenda da sole di stoffa color marrone che si tirava e allacciava alla ringhiera. Io con mia mamma e mia sorella al riparo dal sole a fare piccoli giochetti in attesa del fatidico orario, che non arrivava mai…le 16, quando tutti i bambini potevano scendere a giocare nel grande cortile, che si riempiva di voci e schiamazzi. I diversi giardini, tutti tenuti a regola d’arte da mio zio Battista. Entro nella mia camera. Tappezzeria con i fiorellini azzurri. E’ notte…un brutto sogno, mi alzo e rimango sulla soglia della camera. Mia mamma che mi chiama per andare nel suo letto…io col cuore che batte a mille per la paura che qualcosa di misterioso mi aspetti nel buio della porta di casa, in attesa di attraversare i due metri di corridoio che mi separano dalla camera per acciuffarmi. Mamma e papà che rassicurano, ed io che entro nel lettone…(RT)

In questo caso le pratiche filosofiche sulle quali ci si è focalizzati nella riflessività sono state accomunate dall’esperienza dell’incontro: l’incontro mente-corpo nella scrittura; i movimenti interiori che la scrittura di sé sollecita;  gli incontri simbolici che si sperimentano nella pratica autobiografica e con i sentimenti che genera.

Il laboratorio  si è concluso con uno ‘sguardo sopra le mura’ che sollecitasse nei partecipanti sentimenti di speranza e fiducia nel futuro nonostante il momento critico che si stava vivendo. Evocando le Città invisibili di I.Calvino ho proposto ai partecipanti di immaginarsi essi stessi una città. Ecco alcune delle ‘nostre’ città invisibili:

Se fossi una città la mia parte più bella sarebbe una piazza acciotolata e lucida di pioggia/ il mio primo ricordo lo scampanio di un campanile all’alba/ tra le mie vie profumerei di pane fresco e incenso/ si udirebbe un suono di vociare sommesso/  il mio sogno sarebbe una festa a lume di candela/ con tanta gente, come un canto. (B)

Se fossi una città, la mia parte più bella sarebbe tutta la zona verde: i parchi, i campi e le colline tutt’intorno/ il mio primo ricordo sarebbe quello del terreno esteso e libero prima che venisse urbanizzato. Tra le mie mura profumerei di  mughetto./Si udrebbero cinguettìì e campane a festa./Il mio sogno sarebbe quello di eliminare tutte le macchine e di circolare solo con le biciclette. (E)

Bibliografia

Demetrio D. “Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sè”,  Cortina, 1996

Formenti L.  “Attraversare la cura. Relazioni, contesti, pratiche della scrittura di sè”,  Erikson, 2008

Pasini B. “Palpitare di menti. Il laboratorio formativo”, Maggioli, 2016

Mezirow J.  “La teoria dell’apprendimento trasformativo”,  Cortina, 2016

Siegel D. “La mente relazionale”, Cortina, 2013

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